Per il pranzo della domenica ho preparato gli arancini siciliani di nonna Rosa e nonno Pietro. Un tuffo a piedi pari nei ricordi dell’infanzia, tra melanconia — per un tempo finito, e relegato al passato — ed entusiasmo — per la consapevolezza di generare dei ricordi nella memoria dei miei figli; tra tradizione e innovazione.
Ero solo una bimbetta quando la domenica si andava a pranzo dai nonni. Quei nonni che avevano dovuto lasciare la Sicilia per seguire il lavoro. Immagino che 50 anni fa, trasferirsi dalla Sicilia a Roma, equivaleva ad un espatrio: anche la lingua era diversa, per non parlare della cultura. Con i loro inviti della domenica sono riusciti a tenere unita la loro famiglia, hanno visto crescere i loro nipoti e invecchiare i propri figli. E visto che si trattava di nutrire le radici della famiglia, il menù era SEMPRE quello delle grandi occasioni e il servizio buono. SEMPRE. E tutto questo ha creato, nella memoria di tutti noi bambini, delle domeniche indimenticabili. Noi cugini (ormai quasi tutti 40enni) siamo lì che ci passiamo le ricette dei nonni per ritrovare quel sapore di un tempo passato.
Ovviamente, gli arancini erano uno dei piatti più acclamati, e all’epoca non è che stavamo tanto attenti all’ortografia né alla forma. I miei nonni (catanesi dalla notte dei tempi) li facevano tondi e per loro rappresentavano un’arancia – scopro ora, leggendo commenti piccati su altri blog e siti che invece a Catania si fanno conici per rappresentare l’Etna. O ancora che quelli conici sono al burro, mentre quelli tondi sono di carne… Che vi devo dire: ai miei nonni nessuno deve aver detto che le arancine catanesi devono essere coniche o che la forma è un codice per sapere di cosa siano farcite. E in effetti era UN’ARANCINA (proprio perché aveva la forma di un’arancia) che al plurale diventavano GLI ARANCINI: me lo ricordo benissimo perché noi bambini riuscivamo a malapena a mangiare un’arancina (con la a) mentre i papà riuscivano a sbafarsi 4 o 5 arancini (con la i): nessuno ha mai osato contestare l’eccezione alla regola del plurale.
Gli arancini di Montalbano.
D’altra parte anche Camilleri ne “Il commissario Montalbano” parla degli arancini (con la i) di Adelina (la cameriera del commissario). Camilleri ne da anche la ricetta che troverete facilmente cercandola su google…
Ecco perché sorrido alle moderne precisazioni sul nome (arancina o arancino), sulla forma o sul “codice” del contenuto: io le faccio come li facevano i miei nonni, al ragù di manzo e costine di maiale sfilacciati fatto pippiare 4 ore a fuoco basso (come dicono a Napoli). Al sugo cotto mia nonna aggiungeva un po’ di besciamella (o una mozzarella tritata quando aveva la flemma di preparare la besciamella), poi personalizzava i suoi ripieni (come ogni chef che si rispetti): un pezzetto di uovo sodo qui, un pezzetto di salame là; oppure li faceva di verdure, con il cicorino che nonno scendeva a cogliere direttamente nel campo, o con i funghi. Insomma, gli arancini dei miei nonni seguivano le stagioni, gli ingredienti disponibili e gli umori dei nonni. E gli immancabili pisellini degli arancini siciliani? I pisellini sono primaverili. Ho detto tutto. E comunque non piacevano a nessuno quindi non li metteva mai. E se uno non può fare come gli pare neanche a casa sua, per far piacere alla propria tavolata…
Il sugo di carne con il manzo sfilacciato.
Dentro al sugo degli arancini mi ricordo benissimo la carne sfilacciata; per fare un ragù così basta usare la spalla di manzo (muscolo), tagliarla a pezzetti e lasciarla cuocere per 4 ore a fuoco basso dentro la salsa di pomodoro. Poi prendere la carne e sfilacciarla con le dita (si fa in un attimo perché si spappola solo a guardarla). Se oltre al muscolo di manzo avete anche un paio di costine, il gusto ci guadagna. Per il sugo di carne: far rosolare cipolla, sedano e carota in un paio di giri d’olio e aggiungere la carne di manzo tagliata a pezzetti e le costine intere. Quando la carne sarà rosolata sfumare con vino rosso e lasciar evaporare l’alcol. Aggiungere la passata di pomodoro. Lasciar sobbollire coperto a fuoco bassissimo per almeno 4 ore. Aggiungere un po’ di latte se dovesse veramente asciugarsi troppo (il sugo di carne delle arancine deve comunque essere un bel po’ denso). A fuoco spento aggiustare di sale e zucchero (se il pomodoro che avete usato è troppo acido, lo zucchero è fondamentale).
Oggi il ragù così non lo fa più nessuno: figli della modernità e delle comodità usiamo tutti la carne macinata, facile da trovare anche al supermercato. Va bene, ma il ragù è ragù e deve stare sul fuoco 4 ore.
La cottura del riso (e lo zafferano?).
Il riso non va né bollito, né cotto come un risotto. Si fa cuocere il riso nella quantità di liquido giusta per essere assorbita. Roba che se non hai le dosi stai 20 giorni a provare.
Per 500 g di riso carnaroli ci vuole 1 litro e 250 ml di brodo vegetale. Si cala il riso nel brodo al bollore e si lascia in cottura per il tempo indicato sulla confezione (magari un po’ al dente perché poi il riso continua la cottura con la frittura e con il passaggio al forno). Vedrete che il riso assorbirà tutta l’acqua. Che riso usare? Nel taccuino dei nonni non c’è scritto. Io da espatriata in Francia ho usato quello che ho trovato: il carnaroli. È venuto bene: saporito e non secco (what else?).
Niente zafferano. Lo so… sembra sia l’ingrediente chiave degli arancini siciliani (anche se non tutti i siciliani sono d’accordo) ma mia nonna non lo usava: forse costava troppo o forse non era così facile trovarlo come oggi. Comunque lo zafferano non c’è neanche negli arancini di Montalbano: Nonni + Camilleri 1 — resto del mondo 0.
E l’innovazione dov’è?
L’innovazione è sotto gli occhi: è nella panatura.
Chissà se a nonna Rosa e nonno Pietro piacerebbero i miei arancini, proprio come i loro ma con una panatura super croccante. Mi ricordo che lei li passava nella farina, poi nell’uovo battuto e infine nel pangrattato; nonno era l’addetto alla frittura. Li ho preparati così per molti molti anni. Poi ho scoperto la doppia panatura che propongono molti siti siciliani: con una pastella semplice e leggera (di acqua e farina) e poi nel pangrattato. L’ho adottata subito perché è una genialata. POI… decido di provare a mescolare il pangrattato con il PANKO.
Panko
Lo conoscete? L’ho usato per la prima volta una decina di anni fa (nel 2010) impanandoci il tonno (clic), ancora non sapevo come si chiamasse ma mi resi subito conto che era nato per friggere. Scopro qualche anno dopo che si chiama Panko e che i cinesi lo usano per le loro panature ultra croccanti e leggere. Sono lamelle di pancarrè. Ve lo consiglio. Se non riuscite a trovarlo nei negozi di alimentari cinesi, farselo da soli è molto facile. Lasciate all’aria qualche fetta di pan carré per un paio di giorni, poi sminuzzate (non finemente: se restano delle lamelle è meglio).
Come avrete capito questa ricetta degli arancini siciliani NON è per i moderni puristi filosofi campanilisti convenzionalisti che probabilmente grideranno all’orrore e allo scandalo: non ci siamo con la forma (forse), né con il ripieno (chissà), senza pisellini e zafferano (sicuri che ci vanno per forza?), e la panatura mezza cinese poi è un vero affronto! Affronto o no, ve la consiglio questa panatura (soprattutto ai siciliani): mangerete le arancine/i più croccanti della vostra vita.
Tempo: l’ingrediente principale.
Comunque vogliate chiamarle/i, qualunque forma vogliate dargli, qualunque ripieno vogliate usare… l’avrete capito: per gli arancini siciliani serve tempo. Tanto. Direi che il tempo è l’ingrediente principale. I miei nonni preparavano circa 40 arancine e la domenica mattina era tutta dedicata alla preparazione degli arancini (tra formatura, impanatura e frittura). Riso e sugo di carne si preparano il giorno prima perché devono essere belli freddi altrimenti le arancine si aprono e si sfaldano durante l’operazione di panatura e frittura (questo sì che sarebbe un vero disastro).
Sabato: preparare il sugo di carne e cuocere il riso.
Domenica: formare le arancine, impanatura, frittura e… “a tavolaaaaaa”
Questa ricetta ha oltre 50 anni. Di quando si cucinava con quello che si trovava, di quando si passava molto tempo in cucina, senza convenzioni, senza la paura di essere criticati, ma solo con la voglia di preparare qualcosa di buono. Per me la migliore ricetta degli arancini siciliani al mondo!
I ricordi sono riaffiorati uno dopo l’altro mano a mano che scrivevo il post. Mi sono rivista lì, bambina, seduta sulle sedie buone imbottite nella grande sala da pranzo. Il mio posto era vicino mamma da un lato (dopo mamma, mio padre a capotavola) e mio cugino Matteo, dall’altro. Apro un’arancina bollente, sento la croccantezza della panatura e vedo il ripieno, vedo il ragù cremoso di carne sfilacciata e l’uovo sodo. Sento gli odori e aspetto che si freddi.
Termometro da cucina (clic): Ovviamente i miei nonni non lo usavano. Con la loro esperienza sentivano la temperatura dell’olio dall’odore e la vedevano nelle increspature dell’olio. Per chi non ha la loro esperienza, è l’unico modo per friggere a 180° C. Per farli diventare dorati bastano un paio di minuti per lato. Poi su carta assorbente in forno statico a 180° C in attesa degli altri e per scaldare il cuore di riso e ripieno.
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